STORIE DI TANGO..

QUARTITO AZUL, STORIE DI TANGO CAPITOLO 16.

                             CUARTITO AZUL

Cos’hanno in comune il “bianco soave” di Monforte d’Alpone ​vicino a Verona, il castello di “Troina” nella provincia di Enna in Sicilia e la città di Buenos Aires? Molto semplice, il tango “cuartito azul”.

Mario Battistella è tra gli scrittori e parolieri più importanti del tango in Argentina. Nacque nel comune di Monforte nell’anno 1893 e si traferì a Buenos Aires nel 1910.A lui appartengono tangos famosi come “Al pie de la santa cruz”, “Me da pena confesarlo”, “Melodia de Arrabal”,”Cuando tu no estas” , “Medallita de la Suerte ” e “Sueno querido” incisi dal suo amico Carlos Gardel. Scrisse anche “Remembranzas” con Mario Melfi e tanti altri.Ma il più celebre  fu “Cuartito azul”. Fu un suo compatriota, Ignacio Corsini, a cantare questo tango per la prima volta nel 1939 in “Radio Belgrano”. Corsini nacque a Troina in provincia di Enna nel 1891 e arrivò con sua madre a Buenos Aires nel 1896 radicandosi nel quartiere di Almagro.Devo dire che Corsini fu il mio idolo per anni. La sua voce tenorile e leggera imprimeva al suo canto un fraseggio unico. Fu lui che cantò per primo “La pulpera de Santa Lucia” e,  il mio preferito, il vals  “la cancion de Amalia”.

Questa introduzione mi è servita per ​dirvi che la musica di “Cuartito azul” appartiene​ ​a ​ una gloria del tango:​ i​l ​maestro Mariano Mores nato​ a Buenos Aires​ nel 1918. Da molto giovane, ​​Mariano Martinez​ (il vero cognome di Mores)​ abitava nel quartiere di San Telmo​.Vicino alla casa di Discepolo in calle Callao, al 400, c​’​era l’accademia P.A.A.D.I di Luis Rubistein.  Marianito, come lo chiamavano, ​si iscrisse​ come studente ma dopo un po’ Rubistein gli offrì un posto come insegnante. Da quella accademia passavano tutti i grandi cantanti del momento. E tra gli studenti c’erano anche le sorelle Margarita e Myrna Moragues che f​ormavano il duo Margot e Myrna “Mores”. Marianito formò con loro un trio adottando il cognome artistico delle ragazze “Mores”.​

Più tardi il trio si sciolse perché Mariano entrò come pianista nell’orchestra di Francisco Canaro e lì, suonò per quasi dieci anni.​A lui piaceva molto Myrna, una delle sorelle. Il maestro si trasferì con la sua famiglia dal quartiere di San Telmo a Villa del Parque, molto vicino a la casa delle sorelle Mores, e possiamo immaginare il perché. La casa era ampia, nel piano di sopra c’era un terrazzo e una piccola stanza dove Marianito aveva le sue cose, componeva musica e provava con i suoi colleghi. I muri si scrostavano con facilità e lui, ogni quindici giorni, imbiancava con calce in cui scioglieva dei cubetti di uno smacchiatore di biancheria di colore “azul” (blu). Mariano lavorava in radio e un giorno in una pausa vide il suo amico Mario Battistella a cui fece ascoltare un arrangiamento che aveva fatto per il tango “la cumparsita”. Battistella con una certa esperienza sulle spalle gli disse: “Ma sei pazzo, questo è già un tango a se’! Perché sprecarlo come un arrangiamento de “La cumparsita”? Un giorno Mario andò a trovare Marianito e rimase colpito dalla sua stanzetta da bohemienne e poco dopo scrisse i versi per la musica che Mores gli aveva fatto ascoltare: così nacque “cuartito azul”.

Mariano Mores possedeva un dono non comune a tutti gli artisti; Aveva un grande talento musicale abbinato alla capacita di essere imprenditore di se stesso. Ha sempre concepito le sue produzioni a forma di spettacolo, e per questo a volte non era ben visto dai puristi del tango. Lui racconta che appena iniziata la sua carriera, dei giapponesi gli commissionarono arrangiamenti per musica nipponica a tempo di tango. “Mi pagarono 5000 dollari. Io con quei soldi mi comprai sette giacche, sette pantaloni e sette scarpe diverse. Camminavo per Calle Corrientes tutti i giorni con un abito diverso per farmi notare”. Mariano Mores​ vanta composizioni che sono diventate pilastri della nostra musica rioplatense create assieme ai nomi più importanti della letteratura tanguera. Per citarne solo alcuni: Con Jose Maria Contursi scrisse “Gricel”, “Cristal”, “En esta tarde gris”, “Cada vez que me recuerdes”.

Con Discepolo, “Cafetin de Buenos Aires” e “Uno”.

Con Enrique Cadicamo “Copas amigas y besos” e ” A quien le puede importar”.

Con Homero Manzi “una lagrima tuya”.

​Mariano Mores fu uno degli artisti più importanti di Buenos Aires e il suo primo successo, “Cuartito Azul” è uno dei tangos famosi che girano il mondo da anni.

                                   CUARTITO AZUL

Stanzetta blu dolce dimora della mia vita

fedele testimone della mia tenera gioventù.

E’ arrivata l’ora triste di salutarci. Come vedi tutto nel mondo è inquietudine.

Non sono più quel ragazzo ombroso, da questa sera sono un signore.

Tuttavia stanzetta te lo giuro, non sono stato mai così triste come oggi.

Stanzetta blu della mia prima passione tu, conserverai tutto il mio cuore e se per caso tornasse quella che amai tu le dirai che non l’ho mai dimenticata.

Stanzetta blu oggi ti canto il mio addio, non aprirò più la tua porta ed il tuo balcone.

Qua visse tutta la mia ardente fantasia e all’amore con allegria cantai.

Qua fu dove sospirò l’amata mia recitando le strofe di Chènier.

Forse sentirò orgoglio gloria ed onore come nessuno mai, ma niente potrà sembrarmi cosi bell​a​ e sincer​a​ come te.

​ La stanzetta di Mariano Mores, oggi è museo privato.

GRISETA, STORIE DI TANGO CAPITOLO 15.

GRISETA di José González Castillo (1924)

Mezcla rara de Museta y de Mimí
con caricias de Rodolfo y de Schaunard,
era la flor de París
que un sueño de novela trajo al arrabal…
Y en el loco divagar del cabaret,
al arrullo de algún tango compadrón,
alentaba una ilusión:
soñaba con Des Grieux,
quería ser Manon.

Francesita,
que trajiste, pizpireta,
sentimental y coqueta
la poesía del quartier,
¿quién diría
que tu poema de griseta
sólo una estrofa tendría:
la silenciosa agonía
de Margarita Gauthier?

Mas la fría sordidez del arrabal.
agostando la pureza de su fe,
sin hallar a su Duval, secó su corazón lo mismo que un muguet.
Y una noche de champán y de cocó,
al arrullo funeral de un bandoneón,
pobrecita, se durmió,
lo mismo que Mimí,
lo mismo que Manón.

TRADUZIONE in italiano a cura di Victor Hugo Del Grande

Un incrocio strano tra musetta e mimì
con carezze di Rodolfo e di Schaunard
era il fiore di Parigi
che un sogno di novella portò nella periferia (di BsAs)
e nel pazzo trascorrere di un cabaret
cullata da un tango milonguero
conservava un’illusione
sognava con Des Grieux,
voleva essere Manon.

Francesina,
che portaste vivace,
sentimentale e di bella presenza
la poesia del tuo quartiere parigino,
chi avrebbe mai detto
che la tua poesia da operaia
solo una strofa avrebbe avuto:
la silenziosa agonia
di Margarita Gauthier?

Ma il freddo silenzio della periferia
seccando la purezza della sua fede
senza incontrare il suo Duval
inaridì il suo cuore, come un vaso di fiori secchi.
Ed in una notte di champagne e di cocò
cullata da un funereo bandoneon
poverina, si addormentò
lo stesso de Mimì
uguale a Manón.

EL ORGANITO, STORIE DI TANGO CAPITOLO 14.

Una delle opere di letteratura popolare più importanti dell’Argentina : “Martin Fierro”, poema gauchesco di Jose Hernandez, scritto nel 1872 descrive una scena in una “pulperia” (il bar dell’epoca, dove la gente si riuniva a bere e cantare con la chitarra). Il protagonista racconta di essersi trovato una sera, con la chitarra in mano cantando ed improvvisando versi per i presenti. Nel più bello però, arrivò un giudice accompagnato dalla polizia, fecero una retata e tra quelli finiti dentro ci fu anche un italiano che suonava l’organetto con la sua scimmietta.

La strofa in questione si trova a pagina 17 del “Martin Fierro” e recita cosi:

Li, un gringo (un italiano)

con un organetto e una scimmia che ballava

facendoci ridere stava, quando ci fu la retata

cosi grosso brutto il gringo

avresti dovuto vedere come piangeva!

Jose Hernandez​ descrive, già in quell’epoca la presenza del

“organito” per le strade in mezzo alla gente​.​

Il tango ebbe inizio nelle periferie della città di Buenos Aires, l’arrabal. L’organetto ambulante fu lo strumento che facilitò la diffusione del tango, dalle periferie ai quartieri di Buenos Aires. Alcuni giravano per le strade con un pappagallino ammaestrato che, per pochi soldi, estraeva delle “carte” indovinando la sorte. Ci sono vari tangos che evocano l’organetto come integrante folcloristico dell’epoca, i due più noti sono: “Organito de la tarde” di Catulo Castillo e Jose Gonzales Castillo, e “El ultimo organito” di Homero Manzi e musica di suo figlio Hacho Manzi. Homero Manzi in “El ultimo organito” utilizza pennellate di parole che dipingono la scena di un quartiere popolare con strade piene di fango dove le ragazze, vestite di “percal” (tessuto molto povero) aprono le finestre per sentire la musica dell’organetto, ed escono per accennare qualche passo di ballo insieme ai ragazzi. Altre, che sentono la musica, ballano dentro casa. La luce della luna si confonde con quella del negozio di alimentari e, l’ultimo organetto, sente l’asma dell’autunno nella voce della sua musica. Se ne va lentamente, trainato da un cavallo magro, con lo zoppo e la scimmietta che balla, dicendo addio ….. lasciando l’anima del quartiere senza voce.

EL ULTIMO ORGANITO (1949 Homero e Hacho Manzi)

Le ruote piene di fango dell’ultimo organetto, verranno di sera, cercando “el Arrabal” con un cavallo magro, uno zoppo, una scimmietta e un coro di ragazze vestite di “percal”.

Con passi spenti sceglierà l’angolo di una via dove si mischiano la luce della luna con quella del negozio di alimentari e, i pallidi marchesi balleranno il valser vicino alla “Hornacina” (piccola nicchia sul muro con delle immagini sacre). L’ultimo organetto andrà di porta in porta fino a trovare la casa della vicina morta quella che si stancò d’amare, e macinerà tangos perché possa piangere il cieco inconsolabile dei versi di “Carriego” (poeta Argentino)​ che fuma, fuma e fuma seduto sul marciapiede.

Sarà una scatola bianca l’ultimo organetto…l’asma dell’autunno scuoterà il suo suono. Abbelliranno il suo legno disegni di angioletti e l’eco del pianoforte sarà come un addio. Saluteranno la sua mancanza le fidanzate chiuse in casa e apriranno le finestre sentendo le canzoni. L’ultimo organetto si perderà nel nulla e l’anima della periferia rimarrà senza voce.

CAFETIN DE BUENOS AIRES, STORIE DI TANGO CAPITOLO 13.

Il 13 aprile del 2016 scomparve una delle figure più importanti tra i compositori del tango, Mariano Martinez, in arte Mariano Mores. Aveva quattordici anni quando dal finestrino del tram con il quale viaggiava vide un cartello in un locale, cercavano un pianista di musica internazionale pratico con la lettura ed il trasporto musicale. Scese e si presentò al responsabile, il quale, dopo un provino, lo prese subito a lavorare. Questo fu l’inizio di Mores con la musica. Dopo si iscrisse all’accademia musicale di Luis Rubistein come studente, ma col tempo ne diventò insegnante. In quella scuola andavano a vocalizzare noti personaggi dell’ambiente musicale di Buenos Aires, lì conobbe le sorelle Margot e Mirna Moragues con le quali formò un trio musicale adottando il loro cognome artistico “Mores”. Si presentarono in radio e calcarono diversi palcoscenici fino a che Francisco Canaro lo chiamò a far parte della sua orchestra. Abbandonò il trio, ma non Mirna che sposò poco dopo. Mariano Mores ebbe una carriera molto estesa e collaborò con gli artisti più importanti del tango. Tra quelli, Enrique Santos Discepolo con il quale aveva fatto il tango “Uno” e “Sin palabras”. Nell’anno 1948 Mores fu chiamato a recitare in un film come attore protagonista: “Corrientes, calle de ensuenos”. Interpretava un ragazzo che lavorava in un bar per pochi soldi, il copione prevedeva che il protagonista cantasse un tango nella sala del bar.

Mores chiamò a Discepolo chiedendogli di scrivere il testo che sarebbe dovuto essere pronto in una settimana. Era una richiesta impossibile per la tempistica di Enrique che, per consegnargli il tango “Uno” ci mise tre anni. Tuttavia Discepolo riuscì a consegnare in tempo il lavoro e Mores  cantò questo tango accompagnandosi al pianoforte in una scena del film. Raccontava il maestro come nacque una della metafore più belle del tango che scrissero quella settimana: “Andavo all’appartamento di Discepolo in calle Callao a fargli sentire la melodia del tango che dovevamo fare, in una di quelle riunioni c’era l’attore Arturo Cordova che recitava insieme a Enrique nel film che stavano girando in quei giorni “Yo no elegi mi vida”. Enrique forse ispirato dal naso appiattito di Arturo immaginò la frase: “La nata contra el vidrio” (il naso schiacciato contro la vetrina”.) Il film in cui Mores recitava  fu proiettato a settembre del anno seguente (1949) ,ma il tango “Cafetin de Buenos Aires” era già famoso, soprattutto la versione di Anibal Troilo ed Edmundo Rivero, ma vale la pena anche ricordare quella di Osvaldo Fresedo con l’interpretazione del “Mocito” Cordò.

Osvaldo Cordò nacque a Dock sud nell’anno 1923, il suo vero nome era Alfredo Agustin Alberti. Suo padre chitarrista e fanatico di Carlos Gardel gli trasmise ambe due le passioni, per la chitarra e per Carlitos. Lo portò a studiare canto dal maestro Eduardo Bonessi, lì conobbe un altro ragazzo della sua età che già cantava in qualche orchestra di tango,Vincenzo Marinaro(“Alberto Marino”). Nel 1948 fu chiamato dal maestro Osvaldo Fresedo per cantare nella sua orchestra, debuttò nel “Rendez- Vous” locale ballabile di proprietà di Fresedo.  Realizzò, con il maestro, le ultime quattro incisioni che Fresedo fece per la RCA Victor. Nell’anno 1949 si allontanò dell’orchestra per problemi di salute. Con il passare degli anni ebbe alti e bassi, il suo stato di salute si complicò e morì a soli sessantadue anni. Durante  le sue presentazioni come cantante solista era seguito  da tanti ammiratori fra i quali personaggi famosi  come Troilo, Rivero ,Jose Basso, Raul Beron, Jorge  Casal e il suo amico Alberto Marino. Tornando a “Cafetin”, poco dopo il suo debutto fu preso di mira dalla censura, in merito alla questione Discepolo disse: “Posso ammettere critiche ai miei tangos,quello che risulta impossibile da accettare sono certi tipi di “consigli”: “metta questa parola al posto di quell’altra….”..

Il liguaggio popolare è vivo,energico e personale. Quello che tanti chiamano lunfardo è la luce dell’immagine popolare, è una nuova forma della metafora, il linguaggio proprio della canzone. Ci sono cose che si possono dire solo in un modo. Cambiate questo modo e farete il ridicolo. Qualcuno ha anche detto che questo è un tango pessimista, ma io non inventai la realtà che riflette !. Vorrei che tutti i vinti superassero quella condizione e ho sempre appoggiato tutti gli sforzi che si fanno per rivendicare l’uomo argentino. Come mi possono negare che tantissimi portegnos hanno avuto per tanto tempo il bar come meta della loro vita, io non dico che stia bene ma non posso sfigurare quella parte di realtà che pretendo di dipingere nella mia tavolozza di “Arrabal”.

                       CAFETIN DE BUENOS AIRES.

           (1948, E.S. Discepolo – Mariano Mores)​.

Da ragazzino ti guardavo dal di fuori, come a quelle cose che sono irraggiungibili, il muso schiacciato sul vetro, in un blu di freddo, che dopo diventò uguale al mio.

Come una scuola di tutte le cose, da ragazzo mi desti con stupore, la sigaretta, la fede nei miei sogni e una speranza d’amore.

Come dimenticarti in questo lamento, cafetin (bar) di Buenos Aires, se sei l’unica cosa nella vita che assomigliò a la mia mamma.

Nella tua mescolanza meravigliosa tra saccenti e suicidi, io imparai filosofia, i dadi e il gioco d’azzardo…. e la poesia crudele di non pensare più a me stesso.

Mi donasti un pugno di amici che valgono oro, che sono gli stessi che incoraggiano le mie giornate, Josè, delle chimere…Marcial che ancora crede e spera e il magrolino Abel, che se ne andò ma che ancora mi guida.

Sopra i tuoi tavolini, che non fanno mai domande piansi una sera la prima delusione, nacqui alle pene, bevvi i miei anni e mi consegnai senza lottare.

A FUEGO LENTO, STORIE DI TANGO CAPITOLO 12.

“A fuego lento”
(il tango ti aspetta!)
Vicino al mercato di Abasto il 15 di giugno del 1916 nacque Horacio
Adolfo Salgan, che abbandonò fisicamente la sua amata Buenos Aires
cento anni dopo, il 19 di Agosto del 2016.
​I​n questo lungo tempo dedicato quasi esclusivamente all’amore per la
musica in generale e soprattutto per il tango, seppe guadagnarsi
l’ammirazione e la stima di tutto l’ambiente musicale di Buenos Aires.
Oggi parliamo della sua composizione più riuscita: “A fuego lento”.
La parola del maestro ci arriva raccolta da diverse interviste e dialoghi con
giornalisti:
“Come sono arrivato ad avere il mio stile? Senza propormelo in nessun
modo. C’è tanta gente che si avvicina al tango o ad altri generi musicali
con l’idea di rinnovarli. Io non mi sono avvicinato al tango per salvarlo,
l’ho fatto perché sento amore per la musica del mio paese, il folclore ed il
tango. Io suono tanti generi musicali, classico, jazz ecc. Nutro un rispetto
quasi religioso per tutta la musica, perché la musica rappresenta un ponte
verso Dio. Non ho mai​ preteso di salvare il tango”.
Sento un grande rispetto per i predecessori come Agustin Bardi, Eduardo
Arolas, Juan C. Cobian e i fratelli De Caro. Non sono venuto a modificare
niente perché il tango non ne ha bisogno.
Sono venuto con umiltà ad esporre il mio linguaggio musicale. Non mi
sono mai imposto di creare uno stile e di rinnovare niente. Quello che è
uscito è uscito spontaneamente, perché così lo sentivo.
Rispetto a “A fuego lento”, quando lo scrissi mi sembrava un catorcio,
tutto suonava insieme e male; furono gli amici che mi convinsero di
tornare a suonarlo.

Non mi piaceva e lo tolsi dal repertorio dell’orchestra, ma su richiesta dei
fan lo inserii nuovamente e contro voglia e con mia grande sorpresa
diventò famoso. Il successo è veramente un mistero. Da bambino mi
piaceva l’opera italiana, nel Barbiere di Siviglia di Rossini c’era una parte
che mi affascinava, era l’aria del basso “La calunnia è un venticello”​.Una
parte del testo dice: “va scorrendo, va ronzando, nelle orecchie della
gente”
Questa idea di qualcosa che si ripete ininterrottamente mi colpì e fu il
testo e non la musica dell’aria che mi ispirò per scrivere “A fuego lento”,
probabilmente il più innovativo dei miei tangos.
Non mi sento un compositore, sono un pianista e compongo i miei tangos
per il piacere di suonarli.
Tanti colleghi mi dicono che quando suonano un mio tango questo
sembra solo un riflesso mio, ma non è un motivo per non suonarli…
quando interpreto Chopin devo cercare di essere Chopin. La prima parte
in “A fuego lento” è prettamente milonguera, con il ritmo ben marcato, la
seconda no. Se avessi dovuto inquadrare il pezzo tradizionalmente per
l’orchestra avrei fatto la seconda parte uguale alla prima e alla terza, e
non ne sarebbe nato uno stile. Sarebbe stata una struttura statica, che
prima o poi finisce per stancare, e – cosa più importante – non
rifletterebbe quello che la melodia suggerisce.”
Buon ascolto!

NADA, STORIE DI TANGO CAPITOLO 11.


E’ passato tanto tempo…
Non so dove sarai, con chi sarai. Io continuo a fare tante cose insieme a
te, sei dentro di me, partecipe di ogni istante. Continuo a camminare con
te, a visitare i posti dove passeggiavamo.
Faccio brevi viaggi e sei lì, al mio fianco. Ti parlo a bassa voce perché tutti
mi guardano, ma voglio sapere il tuo parere sempre, sulle cose che vedo,
che osservo.
Un dolore strano mi impregna l’anima, mi fa ritornare nei posti in cui
siamo stati, dove ho riscaldato le tue mani, dove mi hai sorriso e protetto
come si fa con un bambino.
Il mio cuore mi ha spinto a camminare, non sapevo bene dove, poi mi
sono fermato davanti alla porta di casa tua.
Dalla mia gola pietrificata uscì un gemito: come sei potuto arrivare fin qui!
Qualcuno mi guardò con tenerezza e disse: -Non abita più qui… e da quel
che so, non ritornerà!
Ad un tratto le lacrime scendevano come pioggia dai miei occhi, si
trasformarono in neve, ed un velo grigio mi coprì, come una madre triste.
Ero davanti alla porta… dietro, un silenzioso buio raccontava la tua
assenza. Mi avvicinai alla maniglia cercando il profumo delle tue mani, ma
capii che era rimasto solo sulle mie.
Nella casa dove sei nata… le erbacce si contendono con le ragnatele un
manto di oblio. Il tuo giardino, le piante di rose, tutto è morto al vederti
andar via.
Nessuno che mi dica se sei viva… Ho bisogno di dirti che sono tornato,
che vago stordito cercando il tuo amore.

Davanti all’uscio ho pregato per la tua pena, per la nostra pena,
scivolando una lacrima si convertì in fiore, una lacrima che sbocciò dal
mio cuore.
Mi allontano dalla casa…e vado non so dove… senza volerlo ti dico
“arrivederci amore mio” e mi sembra che l’eco della tua voce, dal nulla,
mi risponda.

Questo mi suscita ascoltare “Nada”, per ogni momento della vita c’è un
tango.
Questo, invano i piedi cercano di disegnare sul pavimento.
Della prolifica decade del ‘40, l’incontro tra un paroliere uruguayo
Horacio Sanguinetti, e un bandoneonista raffinato, il rosarino Jose Dames.
Il lungo elenco di successi personali di entrambi si unì con il tango “Nada”,
scritto nel 1944.

NADA.
(1944. Horacio Sanguinetti- Jose Dames)
Sono arrivato fino a casa tua, non so come ho potuto…
mi hanno detto che non ci sei, che giammai tornerai,
mi hanno detto che sei andata via.
Quanta neve c’è nella mia anima, che silenzio sulla porta…
arrivato all’uscio un lucchetto di dolore mi fermò il cuore.
Niente rimane nella tua casa natale, solo le ragnatele che tesse l’erba.
Le piante di rose … di sicuro sono morte al tuo partire.

Tutto è una croce, niente di più che tristezza e quiete,
nessuno che mi dica se vivi ancora.
Dove sei? Devo dirti che sono tornato pentito cercando il tuo amore.
Mi allontano da casa tua, me ne vado… non so dove…
Senza volere ti dico addio e l’eco della tua voce
dal nulla mi risponde.
Nella croce del tuo catenaccio per la tua pena ho pregato
e scivolò sul portone una lacrima, che si fece fiore
del mio povero cuore.

LA MARIPOSA, STORIE DI TANGO CAPITOLO 10.

                                         ” La Mariposa “

Tra i binomi che fecero la storia del tango come Troilo e Castillo, Cobian e Cadicamo, Gardel e Lepera, ce ne fu uno di collaborazione breve ma sufficiente a lasciare un paio di classici: quello composto da Pedro Maffia e il poeta Celedonio Flores. Maffia fu un autentico ​inventore​ del modo di​ suonare​ il bandoneon. A lui e ad​ altri tre personaggi venne attribuita la gestazione di un modo di suonare ed arrangiare che cambiò il tango per sempre. La ​”scuola Decareana”​ nata da​ Julio e Francisco De Caro ​​e dal duo più famoso di bandoneonisti che ebbe il tango formato da Pedro Laurenz e Pedro Maffia. Maffia ebbe un’infanzia infelice, si dice che suo padre lo picchiasse​ violentemente da ragazzo. Sca​ppò di​ casa per rifugiarsi da una matrona chiamata “La negra Maria” che lo spedi in un locale gestito da “compadritos” al sud della provincia di Buenos Aires. L​ì conobbe Gardel e Razzano che cantavano  ​girando​ per le provincie dell’Argentina. Da quel locale passò anche Roberto Firpo che lo  ​ascoltò​ suonare e lo portò a​ Buenos Aires come bandoneonista della sua orchestra. Maffia conobbe ​“negro Cele” (cosi chiamavano Celedonio Flores) tramite un amico comune nell’anno 1920. Celedonio Flores nacque nel quartiere di Villa Crespo popolato da creoli e tantissimi immigrati. Questo fu l’ambiente ​nel quale si ​forgiò il poeta, era un uomo colto con un inclinazione nettamente popolare.​ Nell’anno 1920 Celedonio pubblicò una poesia in un giornale di Buenos Aires, che pagò ​il suo lavoro ​con due lire ma questa pubblicazione gli diede l’​opportunità di essere letto e notato da Carlos Gardel. Carlos lo fece leggere anche a Razzano e decisero di musicarlo, così nacque il ​​ tango “Margot”. Furono ventuno i pezzi che Gardel incise con i testi di Celedonio, tra questi “Mano a mano” ​,​ “El bulin de la calle ayacucho” e “Viejo smoking”. Tornando a Maffia e a Flores, Pedro fece ascoltare ​la musica​ a Celedonio che ​ successivamente​ scrisse i versi: ​cosi nacque il tango “La mariposa” (la farfalla). Questo​,​ a mio avviso,​ non è il tango​ più riuscito di Celedonio, forse perchè​ dovette ​ scrivere il testo per​ un pezzo nato già con una forte identità musicale. Comunque utilizza delle belle metafore p​er​ trattare un argomento abbastanza abusato dagli autori di tango di quell’epoca: “l’abbandono”. A fine degli anni 80 in casa di un amico giornalista ​ebbi​ ​ la fortuna di conoscere uno psichiatra messicano che aveva realizzato un film sugli aspetti psicologici del tango delle prime decad​i; si chiama “tango e psicoanalisi ”​. Mi regalò​ una copia del suo film e mentre chiacchieravamo sul​l’argomento disse: La parola Bandoneon letta al contrario quasi dice ” no abandone” (non abbandonare). ​

“​Se tu vedessi, sono così  triste che canto per non piangere.

 Se per il tuo bene te ne andasti​, per il tuo bene ti devo perdonare”.

“​te ne vai ingannatrice cercando l’incanto in un altro fiore”.

​ Lo psichiatra fa un​’analisi sulla fragilità dell ​’ essere umano alla nascita, la paura dell​’ abbandono, la figura materna (argomento molto trattato nel tango della guardia vieja) e poi in una specie di proiezione con la madre quando viene lasciato dalla sua donna, per esempio nel​ tango “perdon viejita” de Fresedo y Saldias, “un tango para mi vieja” di Alessio e Yiso, “adios muchachos” di Sanders e Vedani ecc.​ “​La ​M​ariposa”​ fu eseguito​ per ​ la​ prima volta ​ in pubblico dal​l’orchestra di Francisco Canaro in versione strumentale e poi ​fu inciso da ​Carlos Gardel nell’anno 1923. Nel trascorso degli​ anni questo tango fu cantato dai più grandi interpreti di Buenos Aires come Angelito Vargas, Edmundo Rivero, Alberto Marino, Roberto Rufino ​,​ ​ Miguel Montero.  Poi la versione strumentale dell’orchestra di Osvaldo Pugliese, con l’arrangiamento​ di Julian Plaza negli ​ anni 60 ​diede a questo tango un  ulteriore rinnovamento. ​L’ultima ​curiosità :​ nella presentazione nel teatro Colon de Buenos Aires del film ​”E​l ​c​afe de los ​m​aestros” ​ fu​ cantato da ​ ​Juan Carlos Godoy ​ ​(scomparso ​recentemente)​ ​.​

 ​                         ” LA MARIPOSA ” ( La  Farfalla )

    di  Pedro Maffia e Celedonio Flores, Buenos Aires, 1921.

 Non è che sono pentito di averti amato cosi tanto

quello che mi da pena è il tuo oblio, e il tuo tradimento ​mi sommerge in amaro pianto.

​​Se tu vedessi, sono cosi triste che canto per non piangere.

Se per il tuo bene te ne andast​i​ , per il tuo bene ti devo perdonare.

Dopo ​aver lambito, traditrice​,​ dal roseto del mio amore

​​te ne vai ingannatrice cercando l’incanto in un altro fiore.

E cercando il fiore più puro, quello di più bel colore

lo accechi con la tua bellezza per poi ingannarlo con il tuo amore.

Quel pomeriggio che ti vidi, la tua figura mi piacque, ragazza di “Arrabal”(di periferia tanguera) e senza sapere il perché, io ti seguii​, il cuore ti diedi e fu per il mio male.

Come sarà stato sincero il mio amore che mai immaginai il fiele del tuo tradimento.

Quanto triste rimasi senza amore e senza fede e il cuore abbattuto.

Fai attenzione farfalla agli amori più sentiti

​non ti accecare con i bagliori di una falsa passione perchè allora pagherai  tutta la tua malvagità, tutto il tuo tradimento.

CAMBALACHE, STORIE DI TANGO CAPITOLO 9.

Il 27 marzo del 1901 nasceva, nel quartiere del once a Buenos Aires, uno dei personaggi più sensibili che ebbe il tango in Argentina: Enrique Santos Discepolo. “Discepolin” ebbe una infanzia triste. Rimase orfano da piccolissimo e andò ad abitare con suo fratello maggiore Armando, drammaturgo portegno. Armando lo introdusse in un ambiente di scrittori, artisti e gente di teatro. Da ragazzino iniziò a partecipare come comparsa e poi come attore, in diverse rappresentazioni, fino a scrivere le sue proprie piece teatrali. I suoi primi tangos, “Biscochito” e “Que vachache”, non ebbero non ebbero molta risonanza.Il grande successo arrivò nel 1928 con “Esta noche me emborracho”. Li arrivarono voci che una giovane cantante spagnola, una tale “Tania”, stava cantando con grande successo “Esta noche me emborracho” in un locale del centro. Enrique incuriosito andò a sentirla, ignaro di andare all’incontro con quella che poi diventò la sua compagna fino al resto dei suoi giorni. Forse il grande merito di  “Discepolin” fu di trasformare il punto di vista  pittoresco e folkloristico con cui si descriveva la classe più povera ammassata nei “conventillos”, in una narrazione reale di miseria e privazione. Altro che l’italiano genovese malinconico nella sua casetta colorata nel quartiere della “Boca”; descrisse con crudezza e senza ipocrisia la realtà sociale del suo tempo.

“LA FAME DEGLI ALTRI E’ QUALCOSA CHE DIVERTE SEMPRE QUELLI CHE HANNO MANGIATO”: questa è una frase di un suo film.

Enrique ​scrisse​​ tangos​ memorabili come ​”​Uno​”​,​”​Cafetin de Buenos Aires​”​,​​”Chorra​”​, ​”​Confesion​”​, ​”​Yira yira​”​ e molti altri. Forse ​quello​ che riassume tutta la sua personalità e il suo modo di concepire la funzione sociale di un’artista la troviamo nel tango “Cambalache”.   Enrique descrive con crudezza profetica la  società degli uomini : “sarà così nel 506 e nel 2000 pure”, “gli immorali ci hanno eguagliato”,​​”è lo stesso essere onesto che traditore”, “essere un asino o un professore”, ” Chiunque è un signore, chiunque è un ladro”. Trova una metafora geniale per descrivere il suo tempo e,​ ahinoi, quelli futuri. Dice che ormai tutto è mescolato come in una vetrina di un rigattiere. “Come vetrina dispettosa di un rigattiere è diventata la vita, e ferita da una spada sgangherata, vedi piangere una bibbia di fianco a uno scaldabagno”. Risulta imbarazzante sentire registrazioni di “Cambalache” fatte da certi cantanti che storpiano parole misurate e ricercate da Discepolo per descrivere un’​immagine​ con precisione.​​Cantare cosi, senza sapere cosa si dice, è una mancanza di rispetto per un grande artista, propri​o​ da “cambalache”. Rievocando la metafora della vetrina del rigattiere, Discepolo cita il personaggio Alexandre Stavisky, noto truffatore dell’epoca che nulla c’entra con Igor Stravinsky. Parla di “Don Ciccio”, Juan Galiffi capo mafia di Rosario, di Primo Carnera, il pugile friulano che nulla c’entra con un tale Carrera che non so chi sia. Napoleone, la mignon (donna di compagnia), e il generale San Martin, il nostro “padre della patria”. Tutto mischiato con tutto. Enrique non era un artista compiacente con il potere come tanti nel suo ambiente. Nell’anno 1943 il governo militare dell’epoca fece una legge per “purificare la lingua” con la quale impose la censura ai testi dei tangos mutilando le poesie e cambiando il senso delle parole. “Yira yira” di Discepolo, inciso da Gardel, si trasformò in “dad vueltas, dad vueltas”, una stupidaggine linguistica che distrusse il senso ​del titolo​ e la chiarezza del pezzo. Enrique condivise totalmente il progetto politico del governo di Juan Domingo Peron, non perché era peronista ma perché intuiva un cambiamento socio-culturale che sognava per il suo popolo. Creò uno spazio radiofonico in Radio Nazionale che passò alla storia: “​​Penso e dico quel che penso​​”. In quel programma diede vita a un personaggio immaginario opposto alla sua posizione politica con il quale discuteva il suo punto di vista. Lo chiamava “Mordisquito”. Questa presa di posizione gli costò molto cara. Tanta gente dell’ambiente artistico iniziò a voltargli le spalle. Gli arrivavano lettere a casa con pezzi dei suoi dischi rotti. Certi suoi presunti amici sputavano per terra quando lui passava. Qualcuno in occasione di una recita di una sua opera di teatro comprò tutti i biglietti così che la sala fosse vuota durante lo spettacolo. Scelsero come bersaglio quello a cui Discepolo teneva di più nella vita: le sue creature artistiche. Per un uomo della sua integrità morale e di una estrema sensibilità questo fu​ un colpo​ fatale. Si rinchiuse nell’appartamento di calle Callao dove viveva con Tania, smise di scrivere e di mangiare, arrivò a pesare 37 kili. Diceva: “tra un po’ le punture dovrete farmele sul cappotto”. Tutti i medici che lo visitarono non gli trovarono niente. Certo, Enrique non aveva il corpo malato, aveva una ferita mortale nell’anima per la quale morì di tristezza all’età di 51 anni.

“Quando esten secas las pilas de todos los timbres que vos apretas buscando un pecho fraterno para morir abrazao”.

“Quando saranno secche le batterie di tutti i citofoni che tu suonerai cercando un petto fraterno dove morire abbracciato”. (profetica frase di “Yira yira”).

                                 CAMBALACHE.

Che il mondo è stato e sarà una porcheria lo so già

nel 506 come nel 2000.

che sempre ci sono stati ladri, machiavellici e truffati

contenti ed amareggiati, preziosi e contraffatti.

ma che il secolo xx è uno spiegamento di malvagità insolente

non c’è chi può negarlo.

Viviamo rotolando in una melma e nello stesso fango, tutti avviliti.

Oggi notiamo che è lo stesso essere retto o traditore

ignorante , saggio, ladro, generoso o truffatore.

Tutto è uguale, nulla è meglio, è lo stesso essere un asino che un grande professore.

Non ci sono bocciati nè graduatorie, gli immorali ci hanno eguagliato.

Se uno vive nell’inganno  un altro ruba per la sua ambizione.

Fa lo stesso che uno sia prete ,materassaio o re di bastoni, faccia tosta o passeggero clandestino.

Che mancanza di rispetto, che affronto alla ragione,

chiunque è un signore, chiunque è un ladro.

Mescolato a Stavisky vanno Don Bosco e la mignon don ciccio e Napoleone, Carnera e San Martin.

Simile alla vetrina irrispettosa delle cianfrusaglie da  rigattiere, si è mescolata la vita, e ferita da una spada sgangherata vedi piangere una bibbia accanto a uno scaldabagno.

Secolo xx, cianfrusaglie, problematico e febbrile,

chi non piange non ottiene nulla e chi non ruba è uno scemo.

E vai cosi.. dai che tanto va..  che la nel “forno” ci si troverà.

Non pensarci più, scansati e siediti, che a nessuno importa se sei nato onesto, tanto è uguale chi lavora giorno e notte come un bue, a chi vive a spese degli altri, a chi ammazza, a chi cura o vive fuori dalla legge​.

BALADA PARA UN LOCO, STORIE DI TANGO CAPITOLO 8.

Nel mese di novembre dell’anno 1969 a Buenos Aires si fece un festival della canzone e della danza. Tra i pezzi in gara, un tango, Balada para un loco, cancion di Astor Piazzolla e Horacio Ferrer. Era una canzone nuova, rivoluzionaria e strana per il gusto comune delle persone. Il pezzo arrivò in finale insieme al tango: “Hasta el ultimo tren” di Camilloni e Ahumada, interpretato da Jorge Sobral.”Balada para un loco” venne interpretato da Amelita Baltar, cantante e compagna di Piazzolla nella vita.La giuria premiò il tango cantato da Sobral, ma fu l’inizio di un successo inarrestabile per la coppia Piazzolla_Ferrer, per il loro modo “nuovo” di scrivere.I 2 si conobbero anni prima quando Horacio Ferrer, ammiratore della modernità e la capacità musicale di Piazzolla, gli scrisse una lettera, a Parigi dove Astor risiedeva, manifestando l’intenzione di conoscerlo. Col tempo i due diventarono amici.Astor diceva: “Quando iniziai a lavorare con Ferrer riscoprii il tango-cancion. Pensai che dovevo iniziare a scrivere in modo più semplice, che si potesse cantare facilmente, e che fino allora ero stato un po’ cervellotico nella composizione. Con Ferrer man mano scoprii che per un compositore è preferibile la semplicità.Il primo lavoro fu Maria de Buenos Aires, poi Balada para mi muerte che non presentammo nel concorso perché non era un inedito. Toccò a Balada para un loco. Poi Chiquilin de bachin, La ultima grela, La bicicleta blanca, El gordo triste, e tanti altri”Diceva Ferrer: “Avevo scritto la prima parte di Balada par un loco e un giorno andai a casa di Astor en Calle Libertador. Li lui aveva il pianoforte e un tavolo piccolo; io portai una macchina da scrivere presa a rate, e iniziammo. Lui accennò una melodia stile gardeliano, poi un’altra molto bella, ma disse: “questo sembra di Mariano Mores “. Quindi si mise ad improvvisare sugli accordi di “Adios nonino” ed usci la melodia definitiva. Dopo fece il ponte a mo di vals ed io gli dissi: “fai una melodia per “loco,loco,loco” e io scrivo le parole, cosi fu. Feci poi l’introduzione a mo di recitativo perché sarebbe stata Amelita Baltar a cantarlo nel concorso.Penso che a parte la fantasia che possiede il testo una delle cose più interessanti è l’idea di libertà che propone la “balada”, un senso romantico della vita. Piazzolla racconta un aneddoto molto bello:” Un giorno, in pieno successo di “Balada para un loco” siamo andati a suonare all’istituto psichiatrico Borda. Allestirono il palco in un grande salone, c’èrano almeno duecento pazienti, iniziammo a suonare col quintetto fin quando arrivò il momento di “Balada para un loco” (Ballata per un pazzo). Noi temevamo la reazione dei pazienti ma per i medici che ci avevano invitato era un fatto assolutamente normale e ci incoraggiarono a farlo. La risposta fu meravigliosa, tutti i pazienti cantarono la balada in coro, fu emozionante per noi. Quando stavamo andando via, mi si avvicinò un uomo con lo sguardo trasparente e mi recitò dei versi bellissimi. Si trattava di Jacobo Fijman, un poeta che passò gran parte della sua vita nel Borda. Mi disse una frase che mi rimase impressa: “A che scopo devo uscire, se fuori da qui tutto è peggio”. Molte volte ricordando la sua frase dovette dargli ragione. Piazzolla incise il pezzo nell’anno 1969 con la voce di Amelita, un anno dopo lo fece con il bandoneon e la voce recitante di Horacio Ferrer. “Balada para un loco” fu incluso nel repertorio di quasi tutti i cantanti dell’epoca ma ci tengo a precisare una versione eccezionale fatta con Milva nel 1985. Intonazione ed interpretazione ineccepibile, impostazione vocale “in maschera” si potrebbe dire tipicamente “gardeliana”.

  BALADA PARA UN LOCO.   (Astor Piazzolla-Horacio Ferrer).

              Lo so che sono un pazzo, pazzo, pazzo!

              Non vedi che va la luna rotolando giù per calle Callao

              che un coro di astronauti e bambini con un vals

              mi ballano intorno, balla, vieni, vola!

              Lo so che sono pazzo, pazzo, pazzo

              Io guardo a Buenos Aires dal nido di un passero

              e a te, ti ho visto così triste…vieni…vola…. senti

              il pazzo “berretin”(sogno,illusione) che ho per te.

              Pazzo! pazzo! pazzo!

              quando si farà sera nella tua portegna solitudine

              sulla riva del tuo lenzuolo arriverò

              con una poesia e un trombone a risvegliarti il cuore.

              ! Loco, loco, loco!

              come un acrobata demente salterò

              nell’abisso della tua scollatura, fino a sentire

              che feci impazzire il tuo cuore di libertà …

              vedrai!

GRICEL, STORIE DI TANGO CAPITOLO 7.

 Susana Gricel Viganò fu la musa ispiratrice di uno dei tangos più belli degli anni quaranta. Nacque a Buenos Aires nel quartiere di San Cristobal nel 1920. Da ragazza visse a Guaminì, in provincia di Buenos Aires, dove conobbe le sorelle Gori e Nelly Omar. Per problemi di salute di suo padre la famiglia si trasferì a Capilla del Monte nella provincia di Cordoba. All’epoca era un posto raccomandato dai medici per la cura di problemi respiratori e di vario tipo, data la qualità e la purezza dell’aria delle colline. Gricel trascorreva la sua adolescenza tra la quiete e la noia del posto finchè un giorno, le sorelle Omar le scrissero una lettera invitandola a trascorrere con loro un po’ di giorni a Buenos Aires, quello fu l’inizio di un’avventura romantica rimasta nella storia del tango.Gricel prese il treno e andò a trovare le sue amiche d’infanzia. Era l’anno 1934​ e ​le sorelle Omar erano due cantanti conosciute nell’ambiente​.Portarono Gricel a fare un giro a radio Stentor nel centro di Buenos Aires e lì le presentarono un conduttore radiofonico amico loro, un giovane elegante​ con camicia,bretelle e capelli brillantinati: “piacere, sono Jose Maria Contursi”. “Gricel” ​rispose ​semplicemente lei.Questo primo incontro, apparentemente senza conseguenze, lascio nell’aria un profumo d’inconcluso, il pensiero di uno verso l’altro che li accompagnò dopo il saluto. Dopo un po’ di giorni Gricel tornò alla quiete e alla noia di Capilla del Monte. Contursi continuò la sua vita di conduttore radiofonico, scrittore e poeta emergente con un cognome ingombrante sulle spalle. Jose Maria, Katunga per gli amici, era figlio di Pascual Contursi che insieme a Carlos Gardel, nel 1917, inventò il “tango cancion” con il leggendario​ tango:​ “Mi noche triste”.Jose Maria era sposato con figli, ma nonostante ciò era noto il suo piacere per la vita notturna e la sua fama di donnaiolo.Un giorno Contursi si beccò un virus intestinale che gli dava dei problemi. Il suo medico gli consigliò di trascorrere un periodo di tempo in un posto salutare, ad esempio Cordoba. Le sorelle Omar gli dissero​:​ Gricel abita a Capilla del Monte, perché non vai a trovarla? Contursi si procurò l’indirizzo della ragazza e ​le chiese un appuntamento​​. Ebbero cosi i primi approcci amorosi di fronte all’impotenza del padre di Gricel che non approvava l’incursione di questo Don Giovanni portegno. Lei ​era una fanciulla stupenda che aveva vinto parecchi concorsi di bellezza a Capilla del Monte, ma aveva perso la testa ed il cuore per Jose Maria.Contursi dopo un po’ tornò a Buenos Aires dalla sua famiglia. Negli anni successivi viaggiò parecchie volte a Cordoba per vedere Gricel, quella semplice avventura si trasformò in un amore travolgente. L’uomo però si trovò davanti ad un bivio e fece la scelta di tornare da sua ​moglie a Buenos Aires.

 “Non avrei dovuto pensare mai di ottenere il tuo cuore,

e tuttavia  ti cercai, fino a che un giorno ti trovai

e con i miei baci ti stordii senza capire che ti avrei fatto del male.”

Cosi dopo un po’ Jose Maria Contursi scrisse le parole del tango “Gricel” con la musica del maestro Mariano Mores.Quell’amore inconcluso e frustrato rimase nel cuore dei due. Gricel anni dopo si sposò in matrimonio civile con un uomo che al tempo la abbandonò per un’altra lasciandola con una figlia, Susana, e rimase nuovamente sola. Contursi perse sua moglie e rimase vedovo.​​ Dopo la morte anche della madre cadde in depressione e si diede al alcool. Viveva solo dei diritti d’autore dei suoi tangos e di quelli di suo padre. Il famoso bandoneonista Ciriaco Ortiz che si trovava in tournee in Cordoba, un giorno passò a trovare Gricel e le raccontò della situazione disperata di Jose Maria. Lei decise di andare a Buenos Aires per vedere l’amore della sua vita. Si trovarono nel bar che Co​n​tursi frequentava, lui sempre con giacca e bretelle ma questa volta i capelli erano brizzolati ed il cuore pieno d’alcool.Gricel, in piedi di fronte a lui,​​con la sua piccola Susana​ per​ mano. Da quel momento non si sono più lasciati. Gricel andava spesso a Buenos Aires ma la salute e le abitudini di Contursi non miglioravano. Decisero allora di trasferirsi a Capilla del Monte. Nell’anno 1967 si unirono in matrimonio in chiesa. Lei era stata sposata solo con rito civile e per la chiesa cattolica era nubile. Jose Maria aveva 56 anni e Gricel 47. Vissero in felicità ed armonia quegli anni ​che furono pochi, dato il delicato stato di salute ​del poeta​.Jose Maria Contursi morì l’11 di maggio del 1972 e, proseguendo la traccia di suo padre, lasciò nella storia del tango il suo marchio indelebile. Tra le tante composizioni che formano parte del repertorio classico della musica portegna, Jose Maria ci regalò pagine  che rivivono nelle note di tangos per citarne alcuni:  “Alondras”, “Bajo un cielo de estrellas”, “Cada vez que me recuerdes”, “Como dos extranos” ,”Cosas olvidadas” ,” Cristal”, “En esta tarde gris”, “Es mejor perdonar”,”La noche que te fuiste”, “Quiero verte una vez mas”,”Sombras nada mas”, “Toda mi vida” “Verdemar” e “Gricel”. La versione più bella di “Gricel”, detto anche da “Katunga” Contursi​,​ fu quella di Anibal Troilo con  la voce di Francisco Fiorentino. Susana Gricel Viganò mori il 25 di luglio del 1994 e fu la protagonista della storia d’amore più bella che visse il poeta Jose Maria Contursi nella sua vita reale e che ispirò tante delle storie dei tangos che lui scri​s​se e che hanno commosso generazioni di tangueros in Argentina.

                                           “GRICEL”

Non avrei dovuto pensare mai, d’ottenere il tuo cuore e   tuttavia ti cercai fino a che un giorno ti trovai, e con i miei baci ti stordii senza capire che ti avrei fatto del male.”

La tua speranza fu di cristallo, e si ruppe quando partii perché mai più tornai! Che amara fu la tua pena! Non ti dimenticare di me, della tua Gricel….mi dicesti baciando quel crocefisso, e oggi che vivo impazzito,​​perch​è​ non ti dimenticai, neanche ti ricordi di me Gricel!  Gricel!

Mi mancò tanto la tua voce ed il calore del tuo sguardo e come un pazzo ti cercai, ​​e mai più ti trovai, con ​altri baci mi stord​ii, la mia vita intera fu un inganno. Cosa sarà di me, Gricel… si è compiuta la legge di Dio, perchè le sue colpe ha pagato chi ti ha fatto così tanto male.

             

ADIOS NONINO, STORIE DI TANGO CAPITOLO 6.

“Adios Nonino”…

Vicente Piazzolla papà di Astor, morì nel 1959 mentre il nostro famoso compositore era in una tournée in centroamerica. Mori all’improvviso.  Astor diceva che suo padre era un “Roble” (un albero di legno molto forte). Ricevette la notizia mentre suonava in Puerto Rico. Facendo finta di niente portò avanti la serata. Un giorno, a New York città dove Astor visse da piccolo insieme alla sua famiglia, girando  per le strade ed i posti conosciuti iniziò a vedere l’immagine di suo padre legata ad ogni cosa.  Raccontava Astor che, tornato a casa, si sedette in una poltrona e rimase li, sospeso nel nulla, per un po’. Dopo si diresse verso il pianoforte e compose in pochi minuti “Adios Nonino” Quando lo suonò per prima volta insieme al suo gruppo, era convinto che con quel pezzo non sarebbe successo mai nulla, che non sarebbe piaciuto a nessuno. Invece, il tempo dimostrò ad Astor che questa è una delle sue composizioni più celebrate e conosciute. Diceva: Quando suono “Nonino” parlo con mio padre: non lo suono per la gente, lo faccio per lui. Questo pezzo di rara bellezza è strumentale ma Astor permise alla sua amica e poetessa Eladia Blazquez di scrivere le parole, con le quali fu interpretato per la prima volta da Raul Lavie. La città di New York è stata profetica nella vita di Piazzolla. Li, da bambino, conobbe Carlos Gardel. Ebbe anche una parte di un piccolo venditore di giornali, in un film di Gardel “el dia que me quieras” per la Paramount nel 1935. Non poté versare lacrime alla notizia della morte di suo padre, ma poté esprimere il suo dolore scrivendo l’opera che più lo rappresenta in tutto il mondo: “Adios Nonino”.

MENSAJE, STORIE DI TANGO CAPITOLO 5.

Si, sono passato da casa tua Enrique, fu a gennaio di quest’anno. Feci un viaggio con i miei allievi a Buenos Aires per mostrargli la città ed i luoghi dove il tango è nato. Mi dissi: una mattina mi prenderò un paio d’ore per andare a “Calle Callao”, a casa tua, dove vivesti con Tania, dove moristi di tristezza e delusione. Volevo vedere il posto da dove tu entravi ed uscivi, com’era l’angolo e le cose che vedevi tutti i giorni. E cosi feci. Mi fermai d’avanti al palazzo e stetti li per un’ora in piedi cercando d’indovinare quale era il tuo balcone, il tuo appartamento. Chiesi al giornalaio di fronte che mi confermò che avevi vissuto li. Suonai il citofono ed il portinaio un po’ seccato mi rispose che non sapeva nulla, che non ti conosceva. Rimassi li ancora un po’, assaporando l’ennesima ingiustizia nei tuoi confronti. E’ troppa l’emozione che Enrique Santos Discepolo suscita in me. Da quando il tango mi ha accolto tra le sue braccia, “discepolin” è uno degli autori che più profondamente mi accarezza l’anima.Ma non sono qui a pretendere di parlare della grandezza ​di Discepolo: non ne ha bisogno. Di lui parleranno in eterno le sue opere, i suoi tangos immortali, il suo teatro e le sue poesie. Piuttosto sono qui ad evocare una delle sue opere più toccanti e meno diffuse. Enrique mori nell’appartamento di Calle Callao al 500, di tristezza e depressione, dopo essere stato deriso e odiato da una parte dell’ambiente artistico e reazionario di Buenos Aires per la sua adesione al progetto culturale del peronismo. Dopo la sua morte, Tania la sua compagna di vita, chiamò il suo amico “Catulo Castillo” e gli disse: Enrique lasciò questa musica prima di morire, vuoi scrivere le parole? Catulo mise il foglio nella tasca del suo capotto e lì lo dimenticò. Un anno dopo mise la mano in quella tasca e ritrovò la musica di Enrique. Andò a letto mortificato quella notte. Si svegliò di soprassalto alle 4 e sentì come se qualcuno lo stesse spingendo a scrivere, dettandogli le parole che combaciavano perfettamente con quella musica dimenticata. All’indomani andò al SADAIC, la società di autori e compositori in Argentina e registrò il pezzo a nome di Discepolo e suo. Catulo Castillo sostenne sempre che fu Discepolo a dettargli il tango “Mensaje”.

​” Messaggio”​

Oggi che non ci sono, come vedi,

ho un tango che non posso urlare,​

io che non ho la tua voce,

io che non posso parlare.

Messaggio, con cui la mia vecchia tenerezza di creatura

ti sta prestando coraggio.

Io che nel lungo tragitto di questo viaggio soffri in solitudine

per gli oltraggi che subivi

! non volere mai male!  tanto, questa vita cosa importa!

è cosi fine e corta.. che alla fine il filo si spezza.

che non ti affligga il dolore e, se l’amore ti da retta,

non negargli la tua parte di tenerezza

che è cosi bello credergli, all’amore.

bene, questo è tutto.

Perché essendo buono, non c’è odio né ingiustizia né veleno

che faccia male.

Oggi che non ci sono, mi fa pena non essere al tuo fianco

per lottare con te.

Tu che mi facevi piangere… tu che eri tutto rancore.

 ! Messaggio ! messaggio con cui ti dico

che sono tuo amico, e tiro la carretta insieme a te.

Io, cosi piccolo e nudo, lo stesso ti aiuto

vicino a Dio.

SUR, STORIE DI TANGO CAPITOLO 4.

Quando avevo ​5​ anni la mamma di Gabriel, il mio amico d’infanzia, gli chiese: “come si chiama quel signore che suona il bandoneon”? e lui rispose: “Alibantrolio”. Rido ancora oggi ricordando come l​u​i sbagliasse il nome, ma a volte penso a quanto era famoso “Pichuco” Troilo perchè un bambino di ​5​ anni lo conoscesse. Anibal Troilo era il bandoneonista per eccellenza. Non per il virtuosismo, il fraseggio o lo stile ma per l’espressione, il sentimento e la personalità che esprimeva quando aveva il bandoneon fra le mani. Suonò sempre con lo stesso strumento da quando aveva 10 anni. Convinse sua madre a comprarglielo a rate e per la precisione​ erano​ 14. I​niz​​iarono a pagare le prime​ rate ma ​alla quarta, il commerciante che glielo aveva venduto morì e nessuno mai chiese il pagamento delle altre dieci. Troilo e il suo bandoneon furono inseparabili fino al 18 maggio del 1975 dove, come disse un poeta, “​Al bandoneon ​ gli cadde​ Pichuco dalle mani”. Dicono che era un uomo di una bontà infinita, infatti in Argentina lo chiamavano “el gordo bueno” (il ciccio buono). L’orchestra di Troilo si riconosce dalla prima battuta per il suo stile inconfondibile e fece dare il meglio a cantanti come Francisco Fiorentino, ​”​el tata​”​ Floreal Ruiz, Alberto Marino, Roberto Rufino, Roberto Goyeneche e tanti altri. Troilo lavorò con innumerevoli artisti di Buenos Aires ma forse la collaborazione più bella fu quella con il poeta Homero Manzi. Pichuco ammirava molto Homero per la sua sensibilità e per l’au​ra​ di lirico mistero che lo avvolgeva. Il grande pregio di Manzi fu quello di valorizzare la vita, il paesaggio e i ricordi dei vecchi quartieri di periferia che, con l’avvento ed il progresso della città, ​si trasformarono per sempre. Manzi fu un personaggio unico nella storia del tango per la sua capacità incredibile in usare il linguaggio e le metafore che descrivevano fotograficamente quello che scriveva. Infatti Troilo diceva che dopo aver letto i testi scritti da Homero era molto facile comporne la musica. Era talmente coinvolgente che le note uscivano quasi da sole. Le composizioni che fecero insieme formano parte del repertorio classico del tango come: “Romance de barrio”, “Che bandoneon”, “Barrio de tango”, “Discepolin” e forse il più bello di tutti “Sur” (Sud). La prima a cantare “Sur” fu Nelly Omar di cui Manzi era innamorato. Raccontava Nelly che Homero andò con un pianista a casa sua per mostrarle il suo ultimo tango che poi lei cantò in Uruguay. Il primo a incidere “Sur” fu il cantante Edmundo Rivero con l’orchestra di Anibal Troilo. Questa versione è una della più belle. Homero Manzi nacque nella provincia di Santiago del Estero, nel nord dell’Argentina, ma si trasferì con la sua famiglia a Buenos Aires quando aveva sette anni. Fu sempre legato al quartiere dove passò la sua adolescenza e probabilmente “Sur” è la descrizione di questo.

Sur…

San Juan e Boedo antico (incrocio di vie) e tutto il cielo….
il quartiere di “Pompeya” e, più in la, tutto allagato.
La tua chioma di fidanzata nel mio ricordo ed il tuo nome, galleggiando nel tuo “addio”!
L’angolo del maniscalco, “Barro” e ” Pampa”, la tua casa, il marciapiede, il canaletto….ed un profumo di erba e fieno che mi riempie di nuovo il cuore.
Sud… il vecchio muro e dopo…. sud, la luce del negozio del droghiere.
Già non mi vedrai mai più come un tempo, appoggiato alla vetrina, aspettandoti.
Giammai illuminerò assieme alle stelle la nostra passeggiata senza pensieri nelle sere di Pompeya​.
​Le strade, la luna di periferia, il mio amore e la tua finestra
è tutto morto, lo so già.
San Juan e Boedo antico, cielo perso!
Pompeya, vicino alla massicciata del treno…. i tuoi vent’anni tremando d’amore per il bacio che allora ti rubai.
Nostalgia delle cose passate, sabbia che la vita portò via.
ricordi di quartieri che sono cambiati e amarezza per un sogno che è morto..
Sud………..​

Buon ascolto!

Victor

EL CHOCLO, STORIE DI TANGO CAPITOLO 3.

Milano 16 febbraio 2016. Buenos Aires 16 febbraio del 1861 nasceva a un uomo che per merito, creatività e contributo inestimabile, fu chiamato all’epoca “il padre del tango”: Gregorio Angel Villoldo. Non si hanno informazioni certe sul posto in cui è nato nè sulla sua infanzia, ma sappiamo per certo che fu un uomo del quartiere di “Barracas”. Da ragazzo fece qualunque mestiere per sopravvivere, forse il più duro “el cuarteador” che consisteva nell’aiutare, con il suo cavallo, a tirare furi dal fango mezzi e carri in difficoltà. Lavorò come tipografo, fece il pagliaccio da circo, cantò in giro per i locali dell’epoca con la sua chitarra e un supporto attaccato al collo per la sua armonica. Fu un precursore nell’adattare i ritmi musicali più diffusi in quegli anni, come la habanera e los tanguillos espanoles, ai colori della musica rioplatense. Questo genere fu chiamato “tango criollo”. Nei primi anni del ‘900 andò a Parigi con Eusebio Gobbi e sua moglie Flora Rodríguez, ingaggiati dalla famosa catena di magazzini Gath & Chavez, per incidere dischi con musica argentina. Questo fatto contribuì moltissimo alla diffusione della musica di Buenos Aires in Europa, anche se prima di questo evento un “suo” tango era già famoso in tutto il mondo ed era “La morocha”. Vi sorprendereste nel sapere che tanti tangos che ballate in milonga, o che semplicemente conoscete di nome, appartengono al grande Angel Villoldo. Il più famoso di tutti i suoi pezzi è “el choclo” (La pannocchia). Fu eseguito per la prima volta in pubblico nell’anno 1903 a Buenos Aires dal sexteto di Jose Luis Roncallo. Il pezzo fu presentato come danza creola perchè il titolare non permetteva che si eseguisse il tango nel suo locale. Villoldo scrisse due testi per questo tango. Il primo parla metaforicamente della pannocchia (ma sua sorella Irene raccontava che le parole di “el choclo” alludevano ad un famoso guapo dell’epoca che aveva i capelli rossi). Il secondo testo fu intitolato “carino puro” (affetto puro) e fu cantato dai coniugi Gobbi. Negli anni trenta, Villoldo era già deceduto, il cantante Juan Carlos Marambio Catan scrisse un terzo testo che fu poi inciso da Angel Vargas con l’orchestra di Angel D’agostino. Però il testo più famoso fu scritto da Enrique Santos Discepolo nel 1947 per una scena del film “Casinò” di Luis Bunuel. “El choclo” è il tango più famoso dopo la Cumparsita. Fu eseguito da tantissime orchestre e cantato dai personaggi più emblematici della scena portegna. A proposito possiamo raccontare due aneddoti curiosi. Nel periodo della prima guerra mondiale un giornalista argentino si trovava sul fronte tedesco. Fu invitato a un ricevimento dove un pianista volle omaggiarlo suonando l’inno nazionale argentino. Dopo le prime note il giornalista riconobbe subito che non era l’inno se non il tango “el choclo” Il secondo aneddoto è che nel 1952 due autori degli Stati Uniti scrissero una canzone intitolata “kiss of fire”: era una evidente coppia del Choclo di Villoldo. Siccome il pezzo era troppo famoso dovettero riconoscere che era un adattamento di “El choclo”. Nel 1956 Louis Armstrong incise kiss of fire e il pezzo ebbe una enorme diffusione. Gli anni sono passati, il tango di Villoldo continua a suonare in tutte le milongas del mondo mentre il tango degli americani si sciolse nel’oblio. Angel Villoldo mori a Buenos Aires il 14 ottobre del 1919. Ci lasciò con la certezza che il tango era avviato inesorabilmente e in buone mani come quelle di Carlos Gardel che nel 1917 incise il tango di Villoldo “Cantar eterno”. Certi personaggi della storia a volte passano in sordina ma sono coloro che accendono la fiamma di quel fuoco che arde dentro, e che noi chiamiamo semplicemente “Tango”.

​Buon ascolto! 

 Victor

CAMINITO, STORIE DI TANGO CAPITOLO 2.

Nell’anno 1926 è nato mio padre nel “conventillo el 54” di Rosario. I “conventillos” erano “casermoni” con tante stanze affittate per pochi soldi a famiglie d’immigrati in maggioranza italiani (tra quelle la mia) e anche a gauchos, campesinos e operai del porto. Questo me lo raccontò mio padre pochi anni prima di morire forse perchè si vergognava della sua origine così umile, cosi promiscua, cosi “tanguera”. Si perché noi fino pochi decenni fa ci vergognavamo del nostro profondo coinvolgimento con il tango. Vivevamo quest’ arte come se fosse minore, da sfigati, tristi, senza educazione nè cultura e anche, perchè non dirlo, di gente con la pelle un pochino scura. Questo accadde alla mia generazione in Argentina culturalmente “penetrata”, nel vero senso della parola, da un progetto di dominazione dal quale, America Latina, è stata travolta più o meno dal momento che il nostro simpatico Colombo si bagnò i piedini nelle nostre spiagge. Se oggi amo Beniamino Gigli, Caruso, Gardel e il tango, lo devo a mio padre che ha saputo trasmettermi, in silenzio, l’emozione e l’amore per la propria cultura e le sue forme di espressione. Nello stesso anno, il 1926 probabilmente in qualche conventillo di genovesi del quartiere “de la Boca ” qualcuno ha scritto un pezzo che, dopo “la cumparsita” e “il choclo”, è il tango più diffuso al mondo: parliamo di “Caminito”. La musica fu scritta da “Juan de Dios Filiberto” che nacque e visse tutta la sua vita nel quartiere “de la Boca”. Ebbe origini umili e un’infanzia difficile.  Come tanti iniziò fin da ragazzino a lavorare. Lo descrivono come un uomo di modi e carattere grezzo ma con la fiamma dell’arte nelle vene. All’età di 24 anni iniziò a studiare solfeggio e composizione, e scelse il violino come strumento per poi approfondire l’armonia ed altri strumenti come il pianoforte e la chitarra. Tutto questo per poter esprimere le pulsioni che le musiche folkloristiche e il tango seppero svegliare in lui, nell’intensa vita trascorsa nel popoloso quartiere “de la Boca”. Filiberto fu un’artista unico. Come lui stesso diceva “la tecnica deve essere uno strumento al servizio del fuoco sacro che ogni artista porta dentro di sè”. Fu molto amico di “Quinquela Martin”, il pittore che espose in tutto il mondo i murales e i quadri dei conventillos, del porto e delle case del quartiere “de la Boca”. Scrisse molti tangos famosi e tanti furono incisi da Gardel. Per le melodie orecchiabili e i motivi un po’ tra il folklore e il tango a Filiberto viene attribuito la creazione dello stile “cancion portegna”. C’è un piccolo sentiero curvo di un centinaio di metri nel quartiere “de la Boca”. Nell’anno 59 le diedero il nome di “caminito”, alludendo che questo pezzo di strada fu la musa ispiratrice di Juan de Dios Filiberto per scrivere il famoso tango. Senza dubbio questo sentiero lo percorreva sempre per andare al lavoro o dai suoi amici. Oggi tutti i turisti si scattano foto davanti al busto e le placche che ricordano Filiberto e il luogo dove nacque “Caminito” ma adesso vi racconto cosa ispirò il testo di “Caminito” che fu scritto da “Gabino Coria Penaloza”.  Questo signore fu un personaggio affascinante. Scrittore e poeta lasciò nella storia del tango 3 libri e dei pezzi memorabili scritti come co-autore con Filiberto ed altri musicisti. Fu amico di Quinquela Martin, di Razzano e di Gardel che incise e fece debuttare il suo tango “Margaritas”. Coria Penaloza nacque a La Paz, Mendoza. Da ragazzo per lavoro si trovò di passaggio in un paesino della provincia della Rioja, oggi città di Olta. Lì conobbe una ragazza che era un’insegnante di musica del paese. Iniziarono a frequentarsi di nascosto. Si vedevano per parlare e stare insieme in quel “caminito bordeado de trebol y juncos en flor” (quel sentiero contornato di piante fiorite). Nell’anno 1903 e in un paesino piccolo del nord della Argentina era impensabile che la famiglia di una ragazza vedesse di buon occhio una relazione con uno sconosciuto di passaggio. Penaloza dovette ripartire facendole la promessa di tornare a riprenderla. E cosi dopo un anno lui tornò ad Olta a cercare il suo amore, ma i paesani del posto gli dissero che lei era partita, che non abitava più ad Olta e nessuno sapeva dove era andata. “Desde que se fue nunca mas volvio seguire sus pasos, caminito adios” (da quando se ne andò, mai più è tornata, seguirò i suoi passi, sentierino addio.) Il dolore di Coria Penaloza fu grande e trovò sfogo in una poesia. La musica di Filiberto, anni dopo, le diede vita trasformandola in un tango che viaggia nel mondo intero da novant’anni. Sappiamo che “Caminito” nacque nell’anno 1926 e che non morirà mai.

Sentierino che il tempo ha cancellato, che insieme un giorno ci hai visto passare​

sono venuto per ultima volta, sono venuto a raccontarti il mio dolore.

Sentierino che allora eri contornato di “trebol” e “juncos” in fiore

un’ombra presto sarai, un’ombra uguale a me.

Da quando se n’è andata io vivo triste, sentierino amico anch’io me ne vado.

Da quando se n’è andata mai più tornò, seguirò i suoi passi, sentierino addio!

Sentierino che tutti i pomeriggi felice percorrevo cantando il mio amore

non dirle se torna a passare da qui, che il mio pianto il tuo suolo bagnò.

Sentierino coperto di cardi, la mano del tempo le tue impronte cancellò

Al tuo fianco vorrei cadere e che il tempo ci ammazzi a tutti e due.

Buon ascolto!

POR UNA CABEZA, STORIE DI TANGO CAPITOLO 1.

“Por una cabeza”
Per te che mi chiedi sempre questo tango, ti racconto almeno da dove
arriva.
POR UNA CABEZA, per una incollatura, è una metafora con la vita reale e
sentimentale che trova il nostro “Carlos” , per raccontare ​una giornata all’
ipodromo de Palermo a Buenos Aires, dove come al solito, perde tutto.
Questo tango, nasce come tanti altri, nel periodo dove Gardel era una
star a New York e registrava i film di tango.
Raccontava il musicista Terig Tucci, che era il direttore ed arrangiatore di
Gardel in quell’epoca: ” mi squilla il telefono alle 3 di notte. Era Gardel che
mi canticchiava e mi diceva di aver trovato una melodia e le parole per
un nuovo tango.”
Gardel fu proprietario di molti cavalli di corsa, ma il più rinomato fu
“LUNATICO” con cui vinse tanti premi e primi posti.
A guidarlo era “el mono Leguizamo” che fu il fantino più famoso in
Argentina, detto anche “el pulpo” (il polpo), un tango scritto in suo onore
recita: “leguizamo solo, gritan los nenes de la popular, leguizamo solo, y
el pulpo cruza el disco triunfal”
(leguizamo solo in punta, urlano i concorrenti in tribuna popolare,
leguizamo solo, e il polpo passa la linea di arrivo, trionfale)
Gardel, fu il pioniere, chi inventò il tango canciòn nel 1917, con una voce
mascherale e calda e con un fraseggio unico ed intuitivo. Continua ad
essere ​un mito per noi, e come diciamo in Argentina “cada dia canta
mejor” (ogni giorno canta meglio).

Buon ascolto! Victor.
Diritti d’autore: Victor Hugo Del Grande.